LSD e trattamento di fine vita

Come gestire la malattia oncologica a fine vita? In Italia, ci sono tante associazioni che lavorano egregiamente in questo ambito, cure domiciliari comprese. Personale formato, coordinato da medici palliativisti, che sa cosa fare per alleviare il dolore e alleggerire, per quanto possibile, l’orrore della morte. Nuove indicazioni, tuttavia, sono suggerite dalla ricerca sulle sostanze psichedeliche. Si contano per ora sulle dita di una mano gli enti di ricerca che stanno sperimentando l’LSD, l’MDMA e la psilocibina per l’uso compassionevole in psico-oncologia, vale a dire utilizzato insieme al supporto di counselling. Il presupposto per l’uso compassionevole di una sostanza psicotropa è che non esista ancora un’alternativa farmacologica di comprovata efficacia. «Fin dai primi studi degli anni Sessanta – ci racconta Bernardo Parrella, giornalista e co-curatore della raccolta di saggi “Verso la maturità psichedelica” (AnimaMundi edizioni, Bari 2021, € 15,00) – gli psichedelici hanno dimostrato di essere in grado di ridurre l’ansia, la depressione e l’inquietudine legati al fine vita nei malati di cancro terminale (oltre che i relativi dolori cronici e acuti). Anche uno studio svizzero di fine 2007 (Peter Gasser, psicoterapista di Solothurn, con risultati pubblicati sul “Journal of Nervous and Mental Disease” nel 2014) riferisce degli psichedelici proposti a 12 pazienti affetti da ansia associata a malattie incurabili. Risultanze confermate di recente da altre ricerche condotte da Roland Griffiths (Johns Hopkins University) in particolare sull’importanza della spiritualità innescata in quei momenti». Per venire ai giorni nostri, nell’estate 2020 il governo canadese ne ha approvato l’uso, insieme alla psicoterapia, su 4 pazienti affetti da cancro terminale. «I parametri vengono definiti come maggiore accettazione, serenità, comprensione e riconciliazione di/con quest’inevitabile esperienza finale – chiosa Bernardo Parrella – Il che aiuta a superare crisi esistenziali anche profonde in un momento unico della vita, con ripercussioni positive per l’individuo e la famiglia, oltre che a livello sociosanitario». Rientra nel contesto non solo delle cure palliative ma del diritto a una morte serena per tutti. «Ovvio che sono sempre situazioni/scelte personali, ma gli studi e i resoconti aneddotici hanno più volte confermato tutto ciò, soprattutto per effetto della psilocibina, oltre al celebre caso dello scrittore Aldous Huxley che ha esplicitamente richiesto l’LSD in punto di morte».
Ma se le cose così stanno, perché solo ora se ne parla e perché chi se ne occupa in sede di ricerca sembra ancora confinato ai margini del dibattito scientifico? C’è un best seller di Micheal Pollan (“Come cambiare la tua mente”, Adelphi 2019) che ricostruisce, fra le altre cose, la storia del divieto che ha colpito le sostanze psichedeliche negli anni Settanta. Complice l’uso troppo disinvolto di tali sostanze nel contesto della controcultura, soprattutto negli Stati Uniti, dove venivano sperimentati come facilitatori per dare fiato alla protesta di massa necessaria a fermare la guerra in Vietnam e allargare il credo pacifista cantato da John Lennon nella celebre canzone, contro l’LSD s’era levato un coro unanime a livello mediatico, secondo il quale gli psichedelici, naturali o chimici, erano tutti ugualmente dannosi per la salute. Il cosiddetto “bad trip” che si può innescare veniva enfatizzato alle estreme conseguenze; in realtà il numero dei suicidi commessi per effetto del “viaggio sbagliato” non è mai stato confermato al di fuori della bolla propagandistica, dietro la quale – ai tempi – agiva la lunga mano dell’allor amministrazione Nixon che nel 1971 non esitò a lanciare la disastrosa “war on drugs”.
Da qui il blocco della ricerca sugli psichedelici, allentato man mano dalle autorità Usa all’inizio del nuovo secolo e poi cresciuta notevolmente negli ultimi anni. A guidare la ricerca sono gli studi contro la depressione e lo stress post traumatico. «Nel 2018 la FDA (Food and Drug Administration) ha riconosciuto alla psilocibina lo status di “terapia rivoluzionaria” per la depressione farmaco-resistente – si legge nella citata antologia che Bernardo Parrella ha curato insieme a Alessandro Novazio (Novazio è il coordinatore di PSY.CO.RE. la rete che tiene insieme le esperienze italiane in materia di studi e ricerca clinica sulle sostanze psichedeliche)nel 2019 per il disturbo depressivo maggiore. In Svezia e Germania, nel 2020, i Governi hanno approvato trial clinici sulla psilocibina per la depressione resistente al trattamento standard. Con l’aumento delle sperimentazioni cliniche di sostanze psichedeliche per il trattamento di disturbi psichiatrici, potrebbe esserci l’adeguamento legislativo da parte dei Governi e degli enti statali – come giàavvenuto in cinque giurisdizioni cittadine statunitensi, dove è stato formalmente depenalizzato l’uso e la coltivazione personale degli psichedelici naturali (funghetti, peyote, cactus San Pedro)».
Come dicevamo, i primi studi sugli psichedelici in oncologia datano agli anni ’60. Furono eseguiti nell’ambito di ricerche che volevano evidenziare le differenze fra gli effetti palliativi dell’LSD rispetto agli oppioidi. L’LSD fu somministrato a qualche centinaio di pazienti con cancro avanzato. Emerse che la sostanza forniva un sollievo dal dolore più duraturo degli oppioidi. Emersero miglioramenti nell’umore, nel sonno e un maggiore apprezzamento della quotidianità. Nuove rivelazioni filosofiche e religiose aiutavano ad accettare la morte con più serenità.
E in Italia? Stando alla citata antologia, l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) sta valutando come rendere disponibili le sostanze per l’uso compassionevole. Di recente, una ricerca canadese avrebbe incaricato un laboratorio italiano dell’Università di RomaTre a utilizzare la psilocibina per una ricerca di fase 1 per la cura dell’autismo.