Quando muoversi fa male alla salute

C’è muoversi e muoversi. Un conto è fare attività fisica nel tempo libero. Dall’andare in palestra e/o in piscina più volte la settimana, al compiere passeggiate ripetute nel parco vicino casa a piedi o in bicicletta, magari di corsa o in mountain bike per essere più performanti. Un altro conto è lo stress fisico che si produce attraverso le attività lavorative. Pensiamo allo sforzo necessario per rassettare casa, fonte di fastidi alle articolazioni e di mal di schiena perenni, oppure a quello alienante che occorre ad operai, autisti, agricoltori ecc. per portare a termine le loro mansioni quotidiane. L’attività fisica imposta dal lavoro produce spesso posture scorrette, fatiche innaturali, movimenti eseguiti per tempi troppo lunghi o senza pause adeguate, al punto da diventare fonte di stress fisico e mentale e di generare difetti posturali e causare problemi di salute più gravi, specie a carico del sistema cardiovascolare. All’opposto l’attività fisica che si pratica nel tempo libero ognuno se la sceglie da sé, i movimenti che la caratterizzano sono armonici e codificati, le regole tecniche di base sono finalizzate a tutelare la salute dello sportivo, tant’è che sono inscindibili da adeguati periodi di riposo.

Insomma, fra le due tipologie di movimenti vi sono differenze importanti. Mentre l’una mostra effetti protettivi, l’altra si correla a una maggior mortalità. Ce lo ricorda da ultimo una metanalisi sul tema che ha confrontato i dati di 22 studi differenti, per un totale complessivo di oltre 590.000 partecipanti. In questo studio apparso di recente sulla rivista «British Medical Journal of Sport Medicine», livelli elevati di attività fisica nel tempo libero (Leisure-Time Physical Activity, LTPA) vengono messi in relazione a un rischio ridotto di malattie non trasmissibili tra le quali spiccano per morbilità e mortalità le patologie cardiovascolari, quelle metaboliche e alcuni tipi di cancro. Mentre l’attività fisica legata al lavoro (Occupational Physical Activity, OPA) viene correlata a un aumento delle stesse, specialmente negli uomini. Il che evidenzia come l’attività fisica obbligatoria connessa al lavoro sia un falso movimento o, meglio, un movimento di finto benessere e  come tale vada limitato con accorgimenti ad hoc, introducendo turni di riposo e altre soluzioni mirate allo scopo di alleggerirne l’impatto sulla salute.

Inoltre, i lavoratori manuali convivono con uno status socioeconomico inferiore, il che li rende più spesso inattivi durante il tempo libero, ovvero accumulano la maggior parte della loro attività fisica quotidiana attraverso il lavoro. La possibile esistenza di un paradosso dell’attività fisica, quindi, implica che i lavoratori con uno status socioeconomico inferiore possono essere esposti a conseguenze ambigue sulla salute da parte dell’OPA, mentre beneficiano solo di una portata limitata dalle conseguenze positive sulla salute da parte dell’LTPA, poiché il loro impegno in queste attività è limitato.  Come spiegano gli autori della metanalisi, l’OPA è ancora prevalente nelle nostre società lavoratrici, sia nei paesi ricchi occidentali che nei paesi a basso e medio reddito di Secondo e Terzo Mondo.  Negli Stati Uniti – viene ricordato citando i dati di una survey del 2010 – circa il 20% dei lavori consisteva in una combinazione di compiti caratterizzati da un equivalente metabolico indicante un’attività fisica di livello di intensità moderata. All’opposto, in diversi paesi a reddito medio-basso, l’OPA costituisce la maggior parte dell’attività fisica quotidiana. Secondo uno studio condotto in 22 paesi africani, solo il 5% dell’attività fisica viene svolto durante il tempo libero, nonostante la stragrande maggioranza degli individui in questi paesi (cioè l’84% tra gli uomini) facciano così tanta attività fisica quotidiana da rispettare alla grande quella prevista nelle linee guida. In conclusione, gli autori dello studio hanno riscontrato costantemente una riduzione del rischio di mortalità per tutte le cause con livelli crescenti di attività fisica nel tempo libero, ma non per l’attività fisica professionale. Risultati che indicano che l’attività lavorativa potrebbe non migliorare la salute; e che suggeriscono che l’attività fisica lavorativa non sembra un sostituto adeguato dell’attività fisica praticata nel tempo libero quando si cerca di migliorare la salute.